articolo
di Lucio Scorzelli

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1XFPCksG Ecco fatto, anche quest’anno, e mai come quest’anno, il Festival della canzone Italiana di Sanremo è arrivato al termine; Amadeus e Fiorello hanno salutato i quasi quattordici milioni di spettatori con una media di oltre il 53 percento ed il sipario è sceso. Voglio essere positivo, osservando che nella mia vita ho sempre considerato il famoso bicchiere mezzo pieno, cercando sempre di lasciare gli aspetti avversi ad altri certamente più preparati di me, i professionisti plurilaureati della negatività a prescindere da tutto. Ovviamente la prima nota positiva è rappresentata dai vincitori della manifestazione, tre ragazzi e una ragazza, romani; Damiano il front-man con la grinta e lo stile di Roger Daltrey degli Who; Ethan quello che pesta duro sulla batteria tipo Paul Cook dei Sex Pistol accomunati anche dall’aver risposto ad un annuncio per essere nella band; Thomas, un Alice Cooper ai tempi dell’album Killer e Victoria, la bassista, come Karol Kaye il prezzemolo, sempre presente in ogni pezzo come si deve dagli anni sessanta in poi; sono questi i Maneskin, ragazzi dell’ underground Romano e “Chiaro di Luna” del panorama Rock italiano, traducendo il loro nome dal danese, le origini della ragazza. Non proprio di primo pelo, secondi a X-factor, disco d’oro, primi in classifica e finalmente demolitori della consuetudine festivaliera sanremese; certamente sono loro ad aver agitato le cattive coscienze dei benpensanti parrucconi anche se, una nota di grande merito è da dare alla intramontabile e statuaria Orietta Berti e alla “canna” sempre d’acciaio di Renga e i suoi riccioli nero corvini, che mi dicono non tinti. Al secondo posto un duetto “perbenino”, casa e chiesa legati da un nastrino tipo fiocco dell’asilo: Michielin-Fedez, disciplinati come una colonia estiva e poi, penso a Erman Metal ovvio e ripetitivo come una tisana alla sera prima di andare a dormire. Dietro di loro ne ricorderemo tanti, forse e soprattutto per il loro coraggio nel combinarsi in quella maniera penso con il bene placido della censura e del loro stilista, uno per tutti: il Leonardo, il Gaudì e il Super Man di Max Gazzè, chapeau.

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Un applauso deve unire tutti, forte e chiaro, un applauso da tutti quelli che vedono il Festival, da tutti quelli che non lo vedono però lo criticano, da tutti quelli che “sono soldi buttati via, con la fame che c’è nel mondo”, quelli che “è tutto chiuso chiudano anche loro”, quelli che “Amadeus e Fiorello sono dei ladri” quelli che, diceva Jannacci, “quelli che cantano dentro nei dischi
perché c’hanno i figli da mantenere, oh yeah”!
C’è voluto coraggio, bisognava crederci, passare sopra a tutto e a tutti nella consapevolezza che era assolutamente necessario che questa manifestazione si facesse in ogni modo. Demolire è facile, basta dare un martello ad un cretino e ti accontenta subito, più difficile è costruire, soprattutto in questo momento in cui la fiaccola della stupidità è sempre ardente e pronta ad illuminare schiere di leoni da tastiera in perenne lotta col proprio io e con la carenza di specchi in casa. Chiunque apre il computer e scrive, adesso è facile, anche gli esseri senza pollice opponibile possono pestare sulla tastiera sciorinando parole “copia-incollate”; quante fesserie leggiamo e commentiamo senza accorgerci di fare il gioco degli imbecilli e che questi ti batteranno sempre grazie alla loro grande esperienza…a proposito, concedetemi una piccola parentesi polemica, piccolina dai, non disturba: ma voi li avete capiti i quadri di quello che si chiama come un transatlantico? Io ricordo Peter Gabriel, David Bowie, i Kiss il nostro Renato Zero ma ce ne sarebbero altri come loro che hanno fatto sì che il rock si vestisse e che fosse rappresentato anche da trucchi, piume e lustrini; loro avevano qualcosa di veramente interessante e valido da dire, oppure come John Lennon e Joko Hono con il loro costume di nudità per puntualizzare il pacifismo contro la guerra non dichiarata del Vietnam…ma che cosa mi significano le costruzioni scemiche, scusate, sceniche dell’Achille nazionale farcite da parole senza senso che perfino il poeta dei baci Perugina inorridisce? In uno di questi “quadri” ha roccheggiato il nostro Inno Nazionale con una schitarrata al distorsore scimmiottando Jimi Hendrix a Woodstock con l’inno Americano, e va bene, ma poi sventolare il Tricolore per poi gettarlo a terra, quello proprio no, una bella sculacciatina ci vorrebbe, così, tanto per insegnargli i principi base del saper vivere… ma sai, poverino, da una zucca non si ottiene prosecco millesimato!
“Alla via così” si dice in marina dopo aver dato la rotta al timoniere; viva la nostra Marina Militare che con l’uniforme d’epoca ha rimesso a posto l’Inno Italiano deturpato dal “piumato”, ricordando anche che San Marco è l’inno anche del “mio” Battaglione e della Marina sempre presente soprattutto quando bisogna darsi da fare senza tante musse.
Il Festival è finito; tanto ci sarebbe ancora da dire, tanto diranno e tanto sentiremo, perché …perché Sanremo è Sanremo!

Imperia Borgo San Moro, li 7 marzo 2021

 

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