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Quante storie si possono raccontare partendo da un quadro o dalle cuoche? E se poi capolavori sono due e sono stati riuniti e affiancati per la prima volta? E’ il caso della mostra “La cucina italiana: cuoche a confronto” inauguratasi lo scorso 26 marzo alla presenza di Carla Sibilla, assessore alla Cultura del Comune di Genova, di uno degli sponsor l’amministratore delegato di Villa Montallegro Francesco Berti Riboli e del direttore nonchè curatore Piero Boccardo.

E’ Boccardo che presenta anche nel catalogo le Cuoche del Cappuccino o Prete Genovese o Bernardo Strozzi che dir si voglia (Genova 1681-Venezia 1644) che poi, nonostante il titolo, non sarebbero nemmeno cuoche, quella figurata nella storica tela dei Musei di Strada Nuova (www.museidigenova.it), così come quella tornata alla luce una ventina di anni fa e nel 2004 finita alla National Gallery di Edimburgo (www.nationalgalleries.org) , che pur mostra qualche variante. Del resto nelle cucine di allora vigeva la separazione dei ruoli in base al sesso e in base ai compiti e la spennatura del pollame non era certo adatta alle cuoche.

Era un compito comunque delicato, visto che all’epoca si doveva servire il piatto con parte del piumaggio per la presentazione. Questa non è l’unica particolarità delle due opere, ad una prima occhiata generale, infatti l’accento delle composizioni delicato ma al tempo stesso intimamente connesso alla voluttà dei sensi provocò l’accusa a Strozzi davanti al tribunale arcivescovile di esercitare l’arte della pittura in forme confliggenti con l’abito talare. Altra significativa traccia di una cultura distante anni luce dalla nostra, non certo di un pugno di secoli. Addentrandosi poi tra le sale coreograficamente inanellate una dopo l’altra dopo un ingresso tra lucidi tegami in rame si arriva innanzi ai due capolavori dall’effetto del trompe-l’oeil, dove la Cuoca può essere un’allegoria del Fuoco, sugli oggetti della fusione, come la bellissima brocca in argento in primo piano.

Ma veniamo alle differenze tra i due capolavori: nell’olio su tela proveniente da Edimburgo non si può escludere che la cacciagione, che la differenzia dalla versione di Genova, sia stata aggiunta da uno dei suoi collaboratori Ermanno Stroiffi o Francesco Durello e poi gli acquamanili- versatoi funzionali alla pulizia delle mani dei commensali visto l’uso ancora limitatissimo delle posate- che passano dalla preziosa stagnara in argento in una meno pregiata mezzina, anche se il valore simbolico dell’oggetto resta uguale. E poi quella che balza subito all’occhio, il Fuoco, dove Strozzi rappresenta solo le fiamme ardenti e scoppiettanti nel focolare, rendendo inutile la rappresentazione del paiolo appeso alla catena per rimandare all’allegoria.

In più il curatore ricorda come siano sovrapponibili le due opere: una sovrapposizione completa nel caso della protagonista, della sagoma della brocca, di buona parte del pollame, mentre lievi spostamenti si notano nel profilo delle penne delle ali dell’oca e delle teste dei tacchini appesi, il che dimostra in maniera inoppugnabile che la versione di Edimburgo non è stata replicata a mano libera in presenza dell’originale, ma impiegando la tecnica dello spolvero. La cornice su cui si muove questa breve ma appagante esposizione è costituita dalle rappresentazioni di ?Cucine”, “mercati”, “dispense”, che aveva trovato esempi, già alla metà del cinquecento, in dipinti di pittori quali Aertsen e Beuckelaer, documentati nelle collezioni delle famiglie genovesi, ma anche di altri musei italiani e di collezionisti privati. Il catalogo in vendita a 20 euro tocca tutta una serie di argomenti ( usi alimentari, l’organizzazione ed i ruoli nella cucina del passato, i piatti più alla moda..) tutti addentellati del tema scelto per l’Expo universale di Milano del 2015: “nutrire il pianeta. Energia per la vita”.

Giulia Cassini

 

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